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Quando l’innovazione incontra la competenza matching tra Pmi, startup e manager

Quando l’innovazione incontra la competenza matching tra Pmi, startup e manager

Posted on 30 Marzo 2016 by in Marketing with Commenti disabilitati su Quando l’innovazione incontra la competenza matching tra Pmi, startup e manager

Mappare l’amianto con i droni attraverso applicazioni avanzate nate per valorizzazione e tutelare l’ambiente; usufruire del servizio di telemedicina per la riabilitazione ortottica domiciliare; utilizzare una piattaforma di messaggistica per difendere le informazioni da accessi non autorizzati: le ricadute delle nuove tecnologie sul territorio toccano tutti gli ambiti della vita quotidiana, con progetti di ultima generazione che verranno presentati mercoledì 16 marzo, alle ore 17.00, in via Monte Rosa a Milano (sede del Gruppo 24 ORE), durante il “Matching Deal 2016” organizzato da Backtowork24.
La società del Gruppo 24 ORE che offre a manager, dirigenti e professionisti la possibilità di investire competenze e capitali in startup e PMI ad alto potenziale di crescita, per il secondo appuntamento del 2016 punterà l’attenzione sui settori dell’Information and Communications Technology e dell’hi-tech, che oggi possono aprire nuovi e interessanti scenari di sviluppo: «L’impatto delle nuove tecnologie sull’economia reale ha un peso che spinge gli investimenti complessivi – sottolinea Alberto Bassi, amministratore delegato di BacktoWork24 – basti pensare che l’anno scorso sia investitori istituzionali che business angels, family office e venture incubator hanno scommesso oltre 133 milioni di euro su questo importante anello della catena finanziaria. La nascita, la crescita e il consolidamento di queste realtà prevedono comunque una continua necessità di capitali e soprattutto di know how che solo manager di grande esperienza e competenza riescono a trasferire». È per questo che BacktoWork24, con un attento scouting preliminare, ha selezionato 18 eccellenze del panorama di web solution e digital economy per un evento che vedrà incontri one-to-one e momenti di networking riservati a manager e investitori.
«L’ecosistema delle startup e delle piccole imprese hi-tech in Italia – continua Bassi – è ricco di realtà interessanti che hanno letteralmente stravolto i più tradizionali canoni di business, registrando performance innovative altamente competitive a livello globale e accelerando lo sviluppo sociale e culturale. L’obiettivo finale delle nostre iniziative è la formalizzazione dell’investimento e l’entrata in società del manager/investitore, pronto a scommettere sul futuro attraverso strumenti di finanza non convenzionale, che offrono non solo opportunità economiche, ma anche nuovi stimoli professionali».

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Pmi e internazionalizzazione: binomio possibile?

Pmi e internazionalizzazione: binomio possibile?

Posted on 21 Marzo 2016 by in Marketing with Commenti disabilitati su Pmi e internazionalizzazione: binomio possibile?

Secondo alcuni, la dimensione ridotta, la scarsa managerialità, la proprietà familiare e la presenza prevalente in settori maturi, impediscono un efficace sviluppo oltreconfine delle Piccole e medie imprese.

Questa visione va, almeno parzialmente, smentita, per superare i luoghi comuni sostenuti da chi giudica le PMI senza conoscerle approfonditamente e per introdurre un nuovo approccio in grado di favorire la loro presenza sui mercati esteri.

Molte piccole imprese italiane hanno capito da tempo l’importanza di aprirsi all’estero e hanno saputo raccogliere la sfida. Queste aziende, oggi, nonostante il crollo della domanda interna, riescono a distinguersi con performance economiche sopra la media. È da queste realtà che si deve imparare, dall’osservazione dei loro comportamenti strategici e organizzativi che possono essere replicati anche in altre situazioni.

Rafforzarsi in Italia per conquistare l’estero

Una prima considerazione che l’osservazione di molti casi eccellenti consente di fare, riguarda proprio larelazione tra internazionalizzazione e performance.

Sembra di poter affermare che, se una piccola impresa è forte in Italia, ha maggiori chance di conquistare anche i mercati esteri. Le aziende internazionalizzate mostrano risultati migliori di chi si è limitato al mercato domestico e dunque appiano più solide, più competitive ma, nella maggioranza dei casi, lo erano già prima di avviare la loro espansione all’estero, processo che è stato possibile proprio grazie alle risorse accumulate in precedenza.

Essere forti porta con più facilità all’internazionalizzazione e non viceversa, a causa delle risorse, degli investimenti e dei costi fissi necessari per farsi conoscere all’estero. Se si condivide questo passaggio conviene dunque puntare, prima di tutto, a un rafforzamento interno all’impresa in termini strategici.

Interventi estemporanei solo sul fronte esterno, per esempio le missioni all’estero attraverso sussidi di istituzioni pubbliche, in assenza di una certa solidità interna difficilmente portano ricadute sostanziali.

Questa forza, alla base del processo di internazionalizzazione, non sembra correlata al tipo di settore o mercato scelto per competere. Si trovano imprese con ottimi risultati sui mercati internazionali, pressoché in ogni comparto merceologico, da quelli considerati maturi a quelli più evoluti.

Orientarsi al lungo termine

Un primo elemento ricorrente è quello di essere imprese guidate secondo una prospettiva dimassimizzazione del profitto nel medio-lungo termine. Ciò significa che gran parte delle decisioni rilevanti, inclusa quella di esplorare i mercati esteri, sono prese secondo un orizzonte di lungo periodo, con la capacità di sopportare ritorni non immediati.

Le fiere internazionali, le attività di comunicazione, l’inserimento di personale dedicato all’export sono portate avanti con costanza e vagliate non solo nel breve periodo.

Confrontarsi con “i migliori”

Una seconda caratteristica importante è l’attitudine a confrontarsi con chi è più avanti, anche se geograficamente lontano, ovvero con chi ha saputo proporre soluzioni creative a problemi emergenti, con chi ha messo a punto prodotti, servizi, strutture e meccanismi innovativi e con chi ha affermato logiche e modalità di pensiero non ripetitive.

Le imprese “forti” appaiono come “imprese-spugna”, che assorbono e metabolizzano quanto l’ambiente loro circostante propone. Confrontarsi con chi è più bravo, sia pure limitatamente a singole aree dell’agire aziendale, amplia le opportunità di crescita perché permette di visualizzare un più alto livello di operatività già realizzato e dunque imitabile e, in alcuni casi, anche migliorabile.

Specializzarsi e non diversificare

Una terza peculiarità riguarda la scelta strategica di specializzarsi in un prodotto e/o in un servizio piuttosto che inseguire la diversificazione per poi darsi l’obiettivo di operare, eventualmente, anche su scala globale.

Cambiare completamente la propria combinazione strategica perché ritenuta, anche a ragione, in crisi per inseguirne altre più alla moda significa snaturare una consuetudine tipica, in particolare, delle piccole e medie imprese: l’imprenditore non è uomo per tutte le stagioni, profilo che più si avvicina alle caratteristiche di chi si muove secondo la prospettiva del finanziere, e dunque lega il proprio business a fattori molto specifici, spesso casuali.

Le mansioni svolte e il settore dell’azienda in cui ha operato da dipendente prima di rischiare in proprio, il crescere all’interno di una famiglia proprietaria di un’impresa presente in un certo comparto, le specializzazioni del distretto territoriale in cui è nato e cresciuto, la formazione professionale acquisita ed altre circostanze tipiche della vita di ciascuno sono fatti che indirizzano l’esperienza dell’imprenditore, come quella di chiunque altro, e che orientano il suo fare impresa.

Pensare di poter cambiare con facilità e con successo di risultati la predisposizione che nasce da questoaccumulo di esperienza pregressa è molto meno logico che applicarsi con maggiore creatività per migliorare la combinazione strategica originaria recuperando l’efficienza e l’efficacia eventualmente persa per causa propria o, più probabilmente, per maggior dinamismo altrui.

Fare innovazione

Una quarta caratteristica, riconosciuta come fondamentale per rafforzarsi e poi penetrare nuovi mercati, è la capacità di fare innovazione anche operando in settori considerati maturi e tradizionali.

L’impresa forte mostra di continuo quest’abilità di rinnovamento e riesce a cogliere opportunità sorprendenti in ambiti dove apparentemente tutto sembra già scoperto. Il sistema competitivo è in continua evoluzione e sempre nuovi concorrenti possono presentarsi sul mercato, sia questo caratterizzato da prodotti di massa che da prodotti di nicchia.

Non ci si può fermare, vince chi cambia: gli eccellenti risultati economici conseguiti non rappresentano da soli una certezza di un domani altrettanto effervescente e pertanto non devono costituire una barriera a nuovi investimenti, ma devono essere il trampolino per la ricerca di nuove opportunità. Adagiarsi è un rischio e le aziende leader ne sono pienamente consapevoli.

Fare qualità nel piccolo

Infine, la spinta verso l’estero pare essere data dalla capacità di fare qualità nel piccolo e offrire servizi, piuttosto che ricercare efficienza attraverso la crescita dei volumi e l’abbattimento dei costi.

Questa seconda alternativa strategica, opposta alla prima, sembra, infatti, più coerente con la produzione di beni di massa e con le grandi dimensioni e dunque, nello scenario attuale, più facilmente attuabile nelle così dette economie emergenti.

In un contesto come quello italiano, l’unico posizionamento ancora sostenibile è quello della massima qualità, anche per intercettare più facilmente ciò che il resto del mondo si aspetta dal made in Italy.

Se la globalizzazione ha portato a uno spostamento degli assetti produttivi d’interi comparti merceologici nei paesi in via di sviluppo, con conseguenti e importanti perdite da parte delle economie occidentali, essa, attraverso la creazione d’ingente ricchezza, sta favorendo la nascita di nuovi consumatori.

Il calo della domanda interna non deve far pensare che il mondo sia in crisi, al contrario ci sono aree che registrano tassi di crescita mai sperimentati in precedenza, con l’emergere di milioni di potenziali clienti. Sono proprio costoro, i rappresentanti delle nuove elite di quegli stati, che si aspettano dalle produzioni italiane quell’eccellenza qualitativa nella manifattura, di rinascimentale tradizione, per cui siamo riconosciuti e apprezzati da molto tempo.

Marina Puricelli
Docente di Organizzazione Aziendale Bocconi e NIBI

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Modelli di business innovativi

Modelli di business innovativi

Posted on 17 Marzo 2016 by in Marketing with Commenti disabilitati su Modelli di business innovativi

«La rete libera è un’opportunità. Un ambiente dove è facile operare. Sulla rete libera è possibile raggiungere mercati emergenti, generare nuovi modelli di business, abbattere i costi. Come tutte le opportunità, comporta anche dei rischi, soprattutto per i business tradizionali. Che però devono accettare la sfida». Luigi Perissich, direttore di Confindustria servizi innovativi e tecnologici, è appena uscito da una riunione sulla regolamentazione del web.

Nonostante i timori diffusi tra gli associati sull’eventualità che si arrivi a un eccesso di regolamentazione della rete, sfida l’impopolarità e invita a un dialogo con i settori tradizionali. «In qualsiasi mercato, infatti, chi ha già delle posizioni di preminenza a volte non vede l’innovazione come un fenomeno del tutto positivo: nessuno vuole perdere quello che ha già. Ma la storia dimostra che la discontinuità tecnologica apre sempre nuovi spazi, anche per nuovi attori». L’innovazione va colta. «Uno dei temi su cui questo è ormai chiaro è quello dei contenuti digitali. Penso a quello che ha fatto Apple con la musica. Oppure ai tentativi di apertura ai libri digitali compiuti in Italia: oggi, tra i più importanti editori digitali c’è poco o nulla delle case editrici tradizionali». Darsi da fare per non subire il cambiamento. «Non sono passaggi facili. Esistono modelli di business che devono cambiare. La nostra associazione è aperta a discutere con tutti i soggetti coinvolti per trovare soluzioni condivise, nell’ottica della convergenza tra reti, contenuti e produttori di contenuti».

Il dialogo è indispensabile anche per la regolamentazione del web. «Dobbiamo puntare a una co-regolamentazione: i migliori risultati si ottengono quando c’è coinvolgimento di tutti». A patto che ci si avvicini all’argomento con il giusto approccio. «Si dovrà tener conto di che cos’è internet, della sua straordinaria capacità di resistere ai tentativi di blocco o filtraggio. Questa è la base del discorso: qualunque soluzione dovrà essere condivisa tra gli attori commerciali e contare su una forte iniziativa di collaborazione degli utenti, i quali dovranno accettare il principio secondo cui anche online, come nella vita reale, ognuno è responsabile di quello che fa».
a.larizza@ilsole24ore.com

Innovare è un must: si parte dalle risorse umane ed è vietato sprecare

Innovare è un must: si parte dalle risorse umane ed è vietato sprecare

Posted on 16 Marzo 2016 by in Senza categoria with Commenti disabilitati su Innovare è un must: si parte dalle risorse umane ed è vietato sprecare

Per far fronte a una competizione sempre più globale, le aziende italiane devono gestire in modo più efficiente i processi di sviluppo e progettazione. Gli ostacoli da superare non mancano ma quattro modelli permettono di fronteggiarli. E a livello di competenze It sarà sempre più accentuato il potenziamento di ruoli dedicati presidio dei clienti interni e alla governance.

Sprechi di tempo, di conoscenza e di risorse frenano l’innovazione e lo sviluppo, che sono due degli elementi di cui le Pmi e le grandi aziende italiane necessitano per competere sui mercati internazionali. Se poi a riscontrare, più o meno frequentemente, una perdita di tempo nelle modifiche ai progetti dovute ai cambiamenti nelle priorità sono il 90% delle imprese ecco che le attività di progettazione e le problematiche che le interessano meritano un approfondimento. La fotografia scattata dall’Osservatorio GeCo (Gestione dei Processi Collaborativi di Progettazione) della School of Management del Politecnico di Milano ci dice per esempio che il 78% del campione di 400 imprese italiane attive in diversi settori industriali si ritrova a dover rifare i progetti dopo aver riscontrato inesattezze nei dati di partenza. Quali spiacevoli conseguenze genera questa inefficienza? Troppe e continue richieste di modifica, sovraccarico dei progettisti e (interessa più di un terzo delle aziende) lo sforamento dei costi dei progetti.

 Se innovare, con l’ausilio delle tecnologie informatiche e digitali, è un passaggio obbligato per recuperare competitività sullo scenario globale, ecco che sprechi come il tempo necessario per inserire manualmente informazioni del progetto in più sistemi informativi (transcodificando manualmente dati e codici) non sono più tollerabili. Eppure penalizzano il 72% delle aziende. E dicasi lo stesso per l’utilizzo non adeguato delle risorse derivante dalla sovra-progettazione di prodotto, con conseguente crescita dei costi di sviluppo. Meno rilevanti, ma nell’era dei Big Data, del cloud e delle analytics sono percentuali da considerare attentamente, sono gli sprechi di conoscenza legati all’aver progettato prodotti con funzionalità non richieste dal mercato, un difetto riscontrato dal 55% delle aziende.

C’è modo di poter ordinare la progettazione in azienda verso la riduzione degli sprechi e la crescita della competitività? Si c’è, e dall’Osservatorio si evidenziano quattro modelli di innovazione cui fare riferimento e già avviati dalle realtà analizzate. Il primo è la progettazione orientata al cliente, che consente di essere competitivi nei costi e nelle tempistiche e maggiormente orientati alla customizzazione. Un secondo modello perseguito dalle aziende italiane si basa su un approccio formale e pianificato alla creazione, con rilevazioni di performance e un aggiornamento costante e documentato dei progetti. Una terza via all’innovazione è quella della progettazione collaborativa, e cioè l’esplorazione simultanea e condivisa di diverse alternative progettuali, che aumenta la flessibilità, la tempestività e la puntualità di esecuzione. C’è quindi un quarto modello ed è quello basato sulla sostenibilità dei prodotti, che si concretizza attraverso l’attenzione alla logistica e alla seconda fase del ciclo di vita del prodotto stesso, lavorando sull’aspetto della differenziazione. Il tutto, ovviamente, condito dagli strumenti tecnologici e digitali.

Se da un lato si investe ancora troppo poco in innovazione, appare invece accresciuta la consapevolezza di quanto l’acquisizione di nuove competenze digitali sia un passo fondamentale per continuare a giocare un ruolo importante per le imprese. Se da una parte assistiamo all’evoluzione delle tecnologie e all’affermazione di paradigmi quali i Big Data Analytics, l’Internet of Things e il Mobile, dall’altra lo sviluppo di competenze innovative e l’individuazione di nuovi profili professionali in grado di presidiarle e diffonderle rappresentano asset fondamentali per supportare il processo di trasformazione digitale in seno alle singole organizzazioni.

Un’altra ricerca del Politecnico, condotta dalla Digital Innovation Academy su un campione significativo di Cio di grandi imprese operanti in Italia, mostra come in tal senso anche in futuro verrà confermato il trend che ha portato negli ultimi anni ad un progressivo snellimento del nucleo operativo a fronte di un potenziamento di altri ruoli e competenze. Il 17% delle direzioni Ict, in particolare, prevede l’aumento delle risorse dedicate al presidio dei clienti interni, il 14% indica la crescita dei ruoli dedicati alla governance e il 19% pianifica un incremento delle figure della linea intermedia. L’orientamento dei Chief information officer e responsabili It appare nel complesso rivolto all’acquisizione e al rinforzo di tutte le competenze (di progetto e di gestione, tecnologiche e di business) e in particolare di quelle relative allo sviluppo (e quindi Innovation Management, Change Management, Demand Management, Program e Project Management). La prima priorità organizzativa, comune alla metà delle imprese censite, è infatti la gestione dell’innovazione volta al miglioramento dei processi aziendali, delle relazioni con i clienti ma anche dei modelli di business. E questa, per Cio, è una delle sfide da vincere più importanti nel 2015.

Il Sole 24 ore

Nuove imprese a tasso zero

Nuove imprese a tasso zero

Posted on 15 Ottobre 2015 by in Senza categoria with Commenti disabilitati su Nuove imprese a tasso zero

Dal 13 gennaio 2016 parte infatti la misura “Nuove imprese a tasso zero”, che mette a disposizione 50 milioni di euro.

Le nuove agevolazioni sostituiscono quelle dell’Autoimprenditorialità (decreto legislativo 185/2000, Titolo I), sono valide in tutta Italia e finanziano progetti d’impresa con spese fino a 1,5 milioni di euro.

A chi è rivolta la misura

Gli incentivi sono rivolti alle imprese partecipate in prevalenza da donne o da giovani tra i 18 e i 35 anni. Le imprese devono essere costituite in forma di società da non più di 12 mesi rispetto alla data di presentazione della domanda.

Anche le persone fisiche possono richiedere i finanziamenti, a patto che costituiscano la società entro 45 giorni dall’eventuale ammissione alle agevolazioni.

Gli incentivi

Le agevolazioni sono concesse nei limiti del regolamento de minimis e prevedono un finanziamento agevolato a tasso zero della durata massima di 8 anni, che può coprire fino al 75% delle spese totali.  Le imprese devono garantire la restante copertura finanziaria.

Cosa si può fare

Sono finanziabili le iniziative per:

  • produzione di beni nei settori industria, artigianato e trasformazione dei prodotti agricoli
  • fornitura di servizi alle imprese e alle persone
  • commercio di beni e servizi
  • turismo

Le attività turistico-culturali e l’innovazione sociale sono considerati di particolare rilevanza.

Se interessatti vi preghiamo di contattarci.