Ecco come la Borsa drena ricchezza alle imprese (usando anche il Qe)

Ecco come la Borsa drena ricchezza alle imprese (usando anche il Qe)

Posted on 10 Giugno 2016 by in Senza categoria with Commenti disabilitati su Ecco come la Borsa drena ricchezza alle imprese (usando anche il Qe)

Insegna la teoria che i mercati finanziari servano per far affluire risorse alle imprese. Dimenticate la teoria: la realtà dei fatti è ormai l’esatto contrario. E il nuovo programma della Bce di acquisto di corporate bond rischia di favorire il paradosso. I mercati finanziari, soprattutto quelli azionari, succhiano infatti dalle imprese più risorse di quante non ne elargiscano. Accade negli Stati Uniti, dove tra dividendi pagati e riacquisti di azioni proprie (buyback) le aziende quotate a Wall Street hanno elargito agli investitori circa mille miliardi di dollari nel 2015. Accade in Italia dove, nel 2015 secondo i dati della Consob, le imprese hanno raccolto in Borsa 4,6 miliardi ma hanno restituito (principalmente tramite dividendi) 20,8 miliardi.

LA BORSA ITALIANA DRENA RISORSE ALLE IMPRESE
Saldo fra risorse raccolte e restituite agli azionisti di società quotate italiane, in miliardi euro. (Fonte: Consob; Thomson Reuters)

E ora che la Bce ha iniziato a comprare obbligazioni aziendali, il fenomeno potrebbe aumentare: molte imprese (soprattutto americane) dichiarano infatti esplicitamente di voler sfruttare l’attuale programma di Mario Draghi con il solo scopo di indebitarsi per ricomprare azioni proprie in Borsa. Cioè per regalare il denaro preso in prestito sui mercati obbligazionari ai propri azionisti. Alla finanza. A Wall Street.

Nell’era dei tassi a zero e della liquidità abbondante, questo è forse il maggiore paradosso: il denaro continua a circolare nella finanza mentre l’economia reale annaspa. Non bisogna dunque stupirsi se gli investimenti (quelli veri, in ricerca, in sviluppo, in idee imprenditoriali) non decollino. Secondo i dati dell’Ocse, nell’area euro dal 2008 gli investimenti sono diminuiti di quasi il 15%. Nell’intera Europa, stima Rbs, il calo è del 20%. Negli Stati Uniti il Pil è aumentato del 10% circa, ma gli investimenti solo del 5%. I motivi sono tanti (l’incertezza in primo luogo), ma uno è il più paradossale di tutti: chi ha i soldi, non li usa. Chi li raccoglie dai mercati finanziari, tende a restituirli (con gli interessi) ai mercati stessi.

Borsa predatrice

I dati parlano chiaro. In Italia il mercato borsistico riesce a drenare dalle imprese quelle poche risorse di cui dispongono. Secondo i dati elaborati dalla Consob, è da almeno il 2007 che la Borsa prende dalle aziende più soldi di quanti non ne elargisca: negli ultimi 9 anni le imprese quotate a Milano hanno infatti raccolto a Piazza Affari meno di 80 miliardi di euro mediante aumenti di capitale e Ipo, ma hanno restituito circa 190 miliardi attraverso dividendi, buyback (pochi in realtà) e Opa. Il saldo netto è di oltre 100 miliardi: soldi che il mercato finanziario italiano ha “succhiato” dalle imprese. Considerando che gli investitori che operano a Piazza Affari sono principalmente internazionali, si tratta di soldi usciti dalle aziende nostrane per affluire nei forzieri di fondi o banche estere. E in questi anni di recessione, con gli investimenti colati a picco, un tale drenaggio di risorse non può non far riflettere.

Ovviamente questi numeri nulla sono rispetto a quelli statunitensi. I dividendi pagati agli azionisti e i buyback (cioè il riacquisto di azioni proprie) sono aumentati a Wall Street dai 507 miliardi del 2005 ai circa mille del 2015. Il fenomeno non è nuovo: secondo le stime di William Lazonick della Harvard Business Review, le aziende quotate a Wall Street tra il 2003 e il 2012 hanno usato il 54% degli utili per ricomprare le proprie azioni in Borsa e il 37% per pagare dividendi. Mediamente il 91% dei profitti realizzati dalle imprese americane sono quindi tornati nel magma della finanza: questo significa che non sono stati usati per investire in ricerca, in sviluppo, in occupazione. Insomma: in benessere collettivo.

Obbligazioni sterili

Ma l’aspetto ancora più allarmante è che molte imprese negli Stati Uniti (e non solo) da tempo hanno iniziato a indebitarsi per comprare con i soldi presi in prestito azioni proprie in Borsa. L’obiettivo è di “pompare” al rialzo il proprio titolo a Wall Street: in questo modo si gratificano gli investitori e – dulcis in fundo – gli stessi bonus dei top-manager. Il fenomeno dura da anni, ma ora che in Europa la Bce ha iniziato a comprare obbligazioni aziendali (anche se emesse da gruppi esteri purché denominate in euro) il gioco è ripreso alla grande. Calcola Fitch che quest’anno (fino a fine maggio) le imprese statunitensi abbiano emesso 32 miliardi di obbligazioni in Europa denominate in euro (dunque acquistabili dalla Bce): si tratta in soli 5 mesi di oltre la metà di quanto fatto nell’intero 2015. Ebbene: spulciando i prospetti di questi bond, Fitch ha scoperto che un quarto delle aziende che ha emesso obbligazioni dichiara esplicitamente di voler usare i soldi raccolti in Europa per acquistare azioni proprie a Wall Street.

In Europa il fenomeno è diverso, ma non meno assurdo. Patrick Artus, economista di Natixis, ha fatto un calcolo che riguarda le grandi aziende francesi. Ebbene: molte di loro si indebitano solo per aumentare la liquidità in bilancio. Il denaro liquido che si trova oggi nei bilanci delle imprese francesi ammonta infatti al 24% del Pil, contro il 12% del 2007. È come se una persona andasse in banca a prendere un mutuo, per poi depositare i soldi sul conto corrente e non farci nulla.

Economia reale in secca

Bene inteso: non c’è nulla di male nel redistribuire agli azionisti i soldi in eccesso. Anzi. Nell’era dei tassi bassi e dell’abbondante liquidità, è anche finanziariamente razionale per le aziende indebitarsi per pagare dividendi. Ma se si guarda il fenomeno dall’alto, non nel micromondo dei singoli bilanci, è evidente che si tratti di un’assurdità: i mercati finanziari dovrebbero servire per far arrivare risorse alle imprese, soprattutto in tempi di crisi, non per succhiarle via dai loro bilanci. Tutto questo crea paradossi.

Attraverso la American Energy Innovation Council – denunciava tempo fa William Lazonick di Harvard – i top manager di gruppi come Microsoft e Ge anni fa hanno per esempio spinto il Governo Usa a triplicare gli investimenti pubblici a favore dell’energia alternativa, portandoli a 16 miliardi l’anno. Peccato però che nell’ultimo decennio solo Microsoft e Ge abbiano insieme speso ogni anno lo stesso ammontare di dollari per ricomprare azioni proprie in Borsa. E che dire delle case farmaceutiche? Negli Usa le medicine costano molto più che all’estero perché – dicono le stesse case farmaceutiche – in questo modo possono investire in ricerca e sviluppo. Peccato però che Pfizer dal 2003 al 2012 abbia usato il 71% dei propri utili per effettuare buyback di azioni proprie e il 75% per pagare dividendi. Mentre la gente paga per la ricerca, insomma, le case farmaceutiche gratificano Wall Street. E, con essa, gli stipendi dei top manager. La speranza è che la nuova manovra della Bce, seppur condivisibile, non finisca per alimentare eccessivamente questo circolo vizioso.

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